Anemoni di mare, pungente eleganza!
Appariscenti e colorati, gli anemoni di mare (anche noti come Attinie di mare) attraggono inevitabilmente l’attenzione di ogni subacqueo che, per la prima volta, posi gli occhi sui fondali di tutti i mari del mondo. I lunghi tentacoli ondeggiano lievi alla corrente, osteggiando una delicatezza che nasconde abilmente un animo “pungente”. Cacciatori implacabili, possono sfruttare la luce del sole per trarne nutrimento, proprio come le piante a cui tanto assomigliano. Gli ingredienti ci sono tutti, insomma, per entrare nella lista dei più affascinanti organismi del pianeta.
Anemone di mare: animale o vegetale?
Già Aristotele aveva intelligentemente intuito che, nonostante il loro aspetto, gli anemoni di mare sono dei veri e propri animali, avendo osservato la loro incredibile capacità di predare piccoli pesci grazie ai velenosi tentacoli, che convogliano la preda nella bocca posizionata al centro di essi.
Dal punto di vista tassonomico gli anemoni di mare sono un ordine di invertebrati appartenenti al Philum “Cnidari”, classe “Antozoi”, sottoclasse “Esacoralli”. Al medesimo Philum sono quindi ascritte le meduse ed i coralli, che rappresentano i loro più stretti parenti.
Nonostante l’appartenenza al regno animale, molti anemoni sono in grado di ottenere nutrimento dalla luce del sole. In realtà non sono direttamente in grado di sostenere un metabolismo autotrofo, cioè di produrre autonomamente materia organica sfruttando una fonte di energia (come il sole), ma si affidano per questo ad un gruppo di alghe unicellulari che si è specializzato a vivere in simbiosi con animali del benthos: le zooxantelle.
Queste alghe, che appartengono al gruppo dei dinoflagellati, vivono nei tessuti di anemoni, coralli, gorgonie, spugne marine e perfino di alcuni molluschi, fornendo nutrimento organico in cambio di protezione e sostanze minerali da utilizzare come base del proprio metabolismo.
In pratica una parte delle sostanze di rifiuto prodotte da questi animali bentonici, invece di essere disperse nell’acqua vanno ad alimentare le alghe che, in cambio, donano all’ospite parte del nutrimento che sono capaci di produrre mediante la fotosintesi.
Struttura del corpo degli anemoni di mare
L’organizzazione del corpo degli anemoni di mare è quella tipica dei polipi: qui in molti avranno un sussulto, pensando che con “polipo” mi stia riferendo al mollusco che tutti ben conoscono e apprezzano tanto in mare che in tavola.
In realtà questo è un comune errore, poiché il nome del mollusco è propriamente “polpo”, mentre il polipo è, per l’appunto, il nome attribuito alla fase bentonica di tutti gli cnidari: un polipo è, in dettaglio, un organismo di forma cilindrica, dotato di un’unica apertura verso l’esterno (bocca) collegata ad una cavità corporea (celenteron) e circondata da tentacoli.
La bocca ed i tentacoli sono rivolti verso l’alto, mentre all’altra estremità è presente un piede con il quale il polipo si fissa al fondale mediante un sistema ad effetto ventosa. Il celenteron funge da stomaco, intestino e retto: le sostanze indigeste vengono infatti espulse nuovamente dalla bocca, che, come detto, è l’unica apertura del corpo verso l’esterno.
I tentacoli sono ricoperti da cellule speciali, che assolvono il compito di difendere l’animale dai predatori e permettere la cattura delle prede: gli cnidoblasti.
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Il piede, inoltre, non si fissa per sempre in un solo posto, ma è dotato di una certa mobilità, permettendo all’anemone di spostarsi sul fondo alla ricerca di un punto che sia perfetto per le sue esigenze, con sufficiente luce per nutrire le zooxantelle, corrente adeguata per ottenere ossigeno e plancton da predare e un adeguato passaggio di prede di maggiori dimensioni. Una volta che l’ha trovato, l’anemone può rimanere nel posto scelto anche per lungo tempo.
Cnidoblasti: guardare, ma non toccare!
Se gli cnidari vivono e prosperano nel nostro pianeta da milioni di anni, il segreto è probabilmente proprio nella loro arma segreta: gli cnidoblasti.
Queste cellule speciali contengono al loro interno dei sacchetti (cnidocisti) collegati a meccanorecettori, cioè sottili ciglia in grado di percepire il tocco di un corpo estraneo. Una pressione sufficientemente forte sui meccanorecettori porta allo “scoppio” delle cnidocisti, al cui interno è presente un filamento (“cnidociglio”) che viene sparato con forza fuori dalla cellula. Lo cnidociglio è uncinato, e una volta conficcatosi nel corpo della preda (o del predatore) rilascia un veleno che riesce a paralizzare piccole prede e provocare fastidiose ustioni anche nell’uomo.
In caso di contatto, la cosa migliore è sciacquare l’ustione con acqua di mare calda e trattare la zona con pomate al cloruro d’ammonio. È invece da evitare l’uso di acqua dolce, che potrebbe far aprire eventuali cnidocisti rimaste attaccate alla pelle ma non esplose. Esistono varie tipologie di cnidocisti, in base alla presenza o meno di veleno: quelle tipicamente contenute negli anemoni sono dette nematocisti e contengono una tossina termolabile che si disattiva alla temperatura di circa 45 gradi.
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Parola d’ordine: Simbiosi
La simbiosi è il tipico rapporto di collaborazione che si instaura tra due organismi in cui ciascuno riceve un beneficio dalla presenza dell’altro. In questo, gli anemoni sono dei veri maestri: abbiamo già osservato come, ospitando le zooxantelle, molti anemoni possano assicurarsi un facile e gratuito pasto giornaliero, offrendo in cambio i propri prodotti di rifiuto.
Ma alcuni di questi animali instaurano rapporti simbiontici anche con altri organismi del regno animale, ossia i pesci. La più famosa di queste interazioni è quella che si instaura, nei mari tropicali, tra gli anemoni e un gruppetto di specie della famiglia pomacentridi, noti col nome generico di pesci pagliaccio.
Sebbene quella con i pesci pagliaccio sia il caso più famoso, non mancano altri esempi, per lo più riferibili a contesti tropicali.
Il Mar Mediterraneo però non è da meno, facendo registrare la medesima interazione sviluppata da Anemonia sulcata, la più comune anemone del nostro mare (caratterizzata da tentacoli giallastri dalle punte violacee) e Gobius bucchichii, un piccolo pesciolino bentonico noto anche come ghiozzetto di sabbia.
Proprio come nel caso del pesce pagliaccio, il ghiozzetto collabora con l’anemone ottenendo protezione fra i suoi pericolosi tentacoli, offrendo in cambio al polipo gli scarti del suo cibo a base di piccoli invertebrati.
Come si riproducono gli anemoni di mare?
A differenza delle altre classi di Cnidari (Scifozoi, Cubozoi e Idrozoi) gli Antozoi (e quindi anche gli anemoni di mare) non sviluppano una fase medusoide per andare incontro alla riproduzione sessuata. Il polipo, quindi, è in grado di riprodursi direttamente sia per via sessuata che asessuata.
La riproduzione asessuata avviane raramente e si svolge mediante frammentazione, sfruttando la grande capacità di rigenerazione dei tessuti tipica dei tutti gli cnidari, mentre la modalità di riproduzione più frequente è quella sessuale.
Alcune specie sono ermafrodite, altre sono a sessi separati; i gameti maschili sono emessi in acqua e vanno a fecondare i gameti femminili direttamente nel corpo delle femmine (nel caso delle specie a sessi separati) dopo essere trasportate dalla corrente; dopo la fecondazione l’embrione si sviluppa nel celenteron fino a formare una larva che, espulsa dalla bocca, vaga per un certo periodo sospesa nell’acqua, fino a posarsi su un substrato adatta ad ospitarla e che possa permettere la metamorfosi, attraverso cui assumerà la tipica forma dell’individuo adulto.